Osservo la realtà; dai miei occhi, attraverso una finestra, vedo degli oggetti.
Luce, onde elettromagnetiche/fotoni, messa a fuoco attraverso il mio cristallino, stimolazione della retina, impulsi nervosi, elaborazione cerebrale e costruzione dell’immagine.
Cosa ne consegue?
Che per percezione, abitudine e comodità mentale, per tassonomia occidentale, per semantica, per consuetudine, quello che vedo e che esiste oltre la finestra non sono io. Non sono neppure la finestra, non sono la luce che arriva ai miei occhi.
Ci consideriamo entità separate.
Dove finisce tale raggio e dove inizia la mia percezione?
Ma se provassi a “ruotare l’attenzione di 180°, dirigendola verso di me?”
Cosa c’è di diverso tra ciò che identifico come “me” e tutto il resto (la finestra, la luce che arriva ai miei occhi, gli oggetti che osservo)?
Sembra esistere un atto di osservare. Sono l’atto di osservare? Mi ci posso identificare? Sono il raggio di luce?
E se estendo questo concetto verso ogni terzo che osserva?
Esiste un unico, complessivo, universale atto di osservare?
Non è più un “atto personale”.
Resta l’esperienza del vedere, dell’osservazione, del sentire.
Non so cosa pensare.